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Commento alla Parola domenicale

18 febbraio

I domenica di Quaresima

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Seguiamo il Maestro in questa quaresima, per cogliere ogni domenica come essere sempre più suoi discepoli, per scoprire qual atteggiamenti fare nostri per vivere una vita piena. Questa prima domenica lo seguiamo nel deserto, lì dove è stato condotto dallo Spirito e è rimasto per quaranta giorni.

Marco non ci descrive, come gli altri evangelisti le 3 tentazioni, solo ci sottolinea che Gesù è stato tentato da Satana. Credo che questa sottolineatura ci aiuti anzitutto a comprendere la necessità di affrontare le tentazioni e non di scansarle. La tentazione è qualcosa che ha a che fare strettamente con la nostra natura umana e Gesù stesso, che si è fatto uomo come noi, ha avuto le sue tentazioni, non è stato risparmiato; allo stesso modo, anche noi non chiediamo di essere risparmiati dalle tentazioni, ma di starci dentro, affrontarle insieme con lui, perché solo in questo modo la nostra fede si fortifica, diventa veramente una fede adulta, provata nel fuoco proprio come si purificano i metalli. Quante tentazioni ogni giorno ci raggiungono, chiediamo al Signore di sentire la sua vicinanza e la sua forza per riuscire a riconoscerle, affrontarle e vincerle insieme a lui.

Ma il deserto assume in sé oltre alla dimensione della tentazione anche quella dell’essenzialità. Sì questi quaranta giorni vissuti da Gesù nel deserto ci riportano alla necessità di verificare anche nella nostra vita quali sono le cose davvero necessarie, quelle essenziali e quali sono invece quelle superflue, quelle che ci appesantiscono solamente lo zaino del nostro cammino dietro a lui. Se vai nel deserto – ovviamente riportato all’epoca di Gesù e non alle comodità moderne – sei chiamato a selezionare bene cosa portare con te: quanta acqua, quanto cibo leggero ma energetico, quanto bagaglio che sotto il sole cocente potrebbe rallentare il tuo cammino…

Questo vale anche nella nostra vita di fede… dobbiamo vedere quante cose appesantiscono il nostro cammino e in questi 40 giorni, provare anche noi a lasciarle da parte per riuscire ad andare realmente dietro al maestro.

Nel deserto poi, Gesù vive la dimensione dell’interiorità, quella preparazione al suo ministero, all’incontro con le altre persone, la preparazione all’annuncio del Regno di Dio che è vicino. Lo fa in solitudine, insieme con il Padre, sospinto dallo Spirito… anche per ciascuno di noi, questo tempo di deserto ci aiuti a ritagliarci degli spazi di interiorità, spazi di tempo nei quali cercare il Signore e affidare a lui la nostra esistenza, le nostre gioie e le nostre preoccupazioni.

Allora questo tempo sarà tempo fruttuoso, riusciremo anche noi a percepire il nostro bisogno di conversione e di credere al Vangelo.

Di |2018-02-17T09:47:40+01:0018/02/2018|Senza categoria|0 Commenti

Commento alla Parola domenicale

11 febbraio

VI domenica del Tempo ordinario

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Anche questa settimana l’evangelista Marco ci mostra quanto Gesù è vicino alla vita e alle sofferenze umane. Ci troviamo di fronte ad una delle malattie peggiori contemplate dalla Bibbia, non solo per l’atroce sofferenza che un malato di lebbra porta con sé a causa del consumarsi del suo corpo, del vedere venir meno le proprie membra quasi mangiate dalla malattia, ma per il fatto che, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, un malato anche solo sospetto di lebbra, era chiamato ad allontanarsi dalle altre persone, dall’accampamento, dalla città… andare in luoghi isolati per paura di un contagio. Un malato si trova solo e abbandonato in un corpo dilaniato.

Gesù è lì, abbiamo ascoltato settimana scorsa che sta percorrendo i villaggi intorno a Cafarnao, nel suo camminare ecco farglisi vicino questo malato che in ginocchio prega il Maestro di essere purificato. Quanta umiltà e quanta verità c’è in questa richiesta… in fin dei conti sono caratteristiche che viaggiano insieme: bisogna essere umili per riconoscere con verità chi siamo e i nostri errori, fragilità e fallimenti, le nostre lebbre che ci portiamo dentro… ma solo uno che è veritiero può essere umile perché l’umiltà non può nascondere né il positivo né il negativo che c’è dentro di noi… umiltà non è disconoscere le nostre capacità ma riconoscerle come dono e in quanto tali metterle a disposizione di tutti…

Quest’uomo si presenta così davanti a Gesù, è ciò che siamo chiamati a fare anche noi ogni volta che iniziamo la celebrazione della Messa: riconosciamo con umiltà e verità il nostro non essere degni ma ci affidiamo con fiducia all’unico che ci permette di celebrare degnamente i santi misteri perché qui non siamo in gioco noi, ma è la sua grazia ad agire e non agisce mai per il minimo. Ma sarà la stessa cosa che faremo anche mercoledì, quando passata tutta l’euforia del carnevale, ci metteremo in atteggiamento penitenziale e riceveremo sulla nostra testa quelle ceneri.

Il Signore, così come quel giorno ha accolto quell’uomo, gli ha teso la mano, l’ha toccato e l’ha purificato, così fa ogni volta con ciascuno di noi, ci tende la mano e ci tocca, anche lì dove il nostro peccato sembra essere il più brutto, il più insanabile, anche in quel peccato che magari noi stessi non riusciamo a perdonarci o per il quale non riusciamo ad andare dal nostro fratello a dirgli guarda che ho sbagliato, ti ho pugnalato dietro le spalle, ti ho denigrato, ti ho messo i bastoni tra le ruote… anche lì il Signore ci tende la mano, anche in quel caso ci purifica, ma serve umiltà e verità per consegnare a lui noi stessi.

Ci dia la grazia il Signore di indossare maschere solo per il carnevale ma di non nasconderci mai né verso di lui, né verso i nostri fratelli, dietro maschere false. La sua mano ci tocchi e ci offra di nuovo un cuore puro, capace di incontrare lui e gli altri con verità.

Commento alla Parola domenicale

04 febbraio

V domenica del Tempo ordinario

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Il brano di Vangelo che abbiamo appena ascoltato è esattamente la prosecuzione di quello di settimana scorsa, Gesù esce dalla sinagoga di Cafarnao, dove ha parlato in quel modo nuovo, così vicino a Dio e alla gente che lo ascoltava ed eccolo andare in casa di quei due fratelli che da qualche domenica ci stanno accompagnando: Simone e Andrea.

Quanta vicinanza ancora esprime alla vita di ogni giorno: come entra in casa, subito gli parlano delle loro fatiche, dei loro problemi… proprio come faresti tu quando incontri un amico e in un momento di tranquillità racconti un po’ le cose che hai nel cuore, quei pesi che ti porti dietro… ed ecco che loro parlano a Gesù del problema della suocera, sì perché è a letto con la febbre… ovviamente non è come oggi una semplice questione di influenza da curare con qualche medicinale, all’epoca la febbre era qualcosa di più grave e di particolarmente debilitante. Quanta vicinanza esprime Gesù… le si avvicina e la fa alzare prendendola per mano… è uno dei gesti più teneri: prendere per mano qualcuno affinché possa rialzarsi… in un certo senso, quando lo facciamo noi, è infondere nell’altro un po’ della nostra forza, è dirgli coraggio, dove non arrivano le tue forze ci sono io ad aiutarti, a tirarti su… è quello che fa anche Gesù con la suocera di Pietro e che fa quando siamo nella fatica, quando siamo a terra, anche con ciascuno di noi: Gesù tende la mano verso di noi e ci risolleva. Ci offre quella forza che da soli non abbiamo per rialzarci… ma nel donarci quella ci rende anche più simili a lui… quella donna infatti, non si è messa lì convalescente a farsi servire o a farsi compiangere… ma al contrario ha fatto suo l’atteggiamento di Gesù e si è posta a servizio, si è messa a servire quegli ospiti.

Il Signore ci renda capaci di atteggiamenti di servizio, non solo per le persone che abbiamo vicino, non solo per quelli che meritano la nostra attenzione e cura, ma, imparando proprio da lui, smuova il nostro cuore a una dimensione di servizio reciproco e vicendevole che renda visibile quella cura, quella mano tesa che il Signore rivolge a ciascuno di noi nei momenti di sfiducia o di fatica.

Questa vicinanza del Signore siamo chiamati a coltivarla, così come lui ha coltivato quella con il Padre… abbiamo ascoltato che al mattino presto Gesù va in un luogo deserto, in un luogo senza distrazioni né attività da svolgere, per stare in intimità con il Padre, per non sentirsi solo, per sentire e coltivare la sintonia della sua azione con il progetto di amore di Dio per l’umanità intera. Allo stesso modo, anche noi, siamo chiamati a coltivare la nostra relazione con Dio, perché solo da un dialogo con lui, da una consegna di noi stessi a lui, possiamo diventare consapevoli di quanto lui fa ogni giorno per noi, possiamo non sentirci soli ma risollevati ogni giorno da lui.

Commento alla Parola domenicale

28 gennaio

IV domenica del Tempo ordinario

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Col brano di Vangelo che abbiamo appena ascoltato siamo entrati con Gesù nella sinagoga di Cafarnao, siamo lì nel luogo dove tutti i sabati risuonava la parola di Dio, veniva letta qualche pagina della Bibbia (che ovviamente a quel tempo era formata approssimativamente da quello che noi oggi chiamiamo antico testamento). Quella pagina, poi veniva spiegata dallo scriba di turno richiamando con tutta una serie di dotte citazioni, gli insegnamenti dei suoi predecessori, degli illustri rabbini e dottori della legge che avevano commentato la Bibbia.

Gesù non fa così, Lui non si inserisce nella scia dei dotti maestri che spiegano cosa la Parola di Dio volesse dire, Gesù è Lui stesso la Parola di Dio fatta carne e parla con la stessa autorità di Dio. La sua parola raggiunge il cuore di chi lo ascolta, smuove quel cuore, lo scalda, lo commuove, lo provoca rispetto alla necessità di essere sempre più simili al cuore di Dio.

E la gente si accorge che si trova di fronte a qualcuno di diverso, ad una parola che non ha nulla a che vedere con quella degli scribi, l’evangelista Marco ce lo sottolinea con una parola sola, ma molto incisiva: erano stupiti. Quanto è importante questo sentimento perché le cose passino dall’essere fuori di noi al toccarci nell’intimo, nel profondo della nostra vita.

Lo stupore, la meraviglia (parola che non manca mai nella predicazione del nostro Vescovo), sono infatti quei sentimenti che sorgono nel cuore quando ci si trova davanti a qualcosa di inaspettato che ci raggiunge improvvisamente e che è particolarmente bello (se così non fosse sarebbe spavento). È questo sentimento che ci fa aprire ogni volta la porta del cuore ad accogliere qualcosa che ci raggiunge. Se un discorso l’ho già sentito, se mi illudo di sapere già alcune cose, probabilmente ascolterò in maniera distratta colui che parla… tanto so già… ma se chi parla sa suscitare dentro di me la dimensione dello stupore, ogni parola diventa importante e significativa, ogni sua espressione o ogni suo gesto mi aiuterà ad andare in profondità dentro di me, a pormi delle domande o a cercare delle risposte.

Questo è quanto avviene nel cuore degli abitanti di Cafarnao, si lasciano smuovere il cuore da quella parola così autorevole… tra l’altro una parola che fa proprio ciò che dice, proprio come la parola della Creazione all’inizio della Bibbia… “E Dio disse… e la luce fu”… così Gesù zittisce lo spirito impuro e gli comanda di uscire da quell’uomo e così avviene. Quanto quella gente aveva percepito nel cuore lo vede messo in pratica nei gesti.

Possa anche il nostro cuore, ogni domenica, lasciarsi stupire dalla Parola di Dio che ancora ci raggiunge e ogni volta ha qualcosa da dire proprio a me, proprio a te, a ciascuno di noi per ciò che stiamo vivendo in quel momento.

Commento alla Parola domenicale

21 gennaio

III domenica del Tempo ordinario

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Settimana scorsa abbiamo ascoltato che Andrea e un altro discepolo hanno seguito Gesù per indicazione di Giovanni Battista, oggi invece, l’evangelista Marco ci presenta qualcosa di diverso, che coinvolge ancora Andrea, ma in un momento diverso della sua vita.

Giovanni infatti è già stato arrestato e Gesù, dopo questo fatto, ha iniziato a percorrere la Galilea predicando il vangelo. Chiede alle persone la conversione, chiede di cambiare vita, di credere in Dio, non solo con le parole, non solo con qualche preghierina o, per quel tempo, con qualche pellegrinaggio al tempio per compiere qualche sacrificio… non solo, per noi, andando a Messa. Ma credere nel Vangelo, credere che quel Vangelo può cambiarci la vita, può farci essere persone nuove, persone capaci di vivere in pienezza, non solo di sopravvivere, non solo di lasciarci passare sopra le giornate che trascorriamo e che pian piano ci fanno invecchiare, ma facendo sì che la nostra esistenza sia la piena realizzazione di noi stessi, nella nostra interezza… non solo professionale o economica, ma la realizzazione del senso del nostro essere qui, la realizzazione della nostra vocazione, la chiamata ad essere simili a Lui che è l’amore, quindi la chiamata a vivere di amore ogni istante della nostra vita.

E questo lo vediamo messo in pratica subito nelle due chiamate che caratterizzano il vangelo di oggi: quei 4 fratelli chiamati a 2 a 2. Gesù li chiama ad andare dietro a lui, e li chiama proprio nel momento in cui, umanamente, stavano realizzando la loro esistenza, nel momento del lavoro… sono sulle loro barche, il luogo, lo strumento con il quale si procuravano da vivere per sé e la loro famiglia. Gesù non chiama i primi 4 discepoli mentre sono lì a far nulla, non chiama persone che non sanno cosa fare nella loro vita e che trovano così un modo per riempire le giornate… Gesù li chiama proprio lì dove sanno dare il meglio, proprio lì dove con fatica hanno affinato le loro capacità. È quello che fa proprio con ciascuno di noi… non ci chiede di seguirlo nei momenti morti della nostra esistenza, quando non abbiamo di meglio da fare, quando ho messo da parte tutta la mia voglia di realizzazione umana… Gesù mi chiama, ti chiama, ci chiama proprio nella vita di ogni giorno, proprio lì dove trovi la tua realizzazione per trasformarla, per riempirla di lui, per farti essere un ragazzo, una ragazza, un uomo, una donna nuovi, che sanno vivere in pienezza, si affidano a lui, vanno dietro a lui perché ogni istante della nostra vita abbia un sapore nuovo, per imparare ad amare e amarci allo stesso modo in cui Dio ci ama.

Il Signore ci aiuti a lasciare, lasciare le nostre abitudini, le nostre piccolezze, le nostre certezze, per seguirlo… allora sì anche noi saremo pescatori di uomini, saremo capaci di annunciarlo con la nostra vita, la nostra professione, le nostre scelte a quanti incontreremo intorno a noi.

Commento alla Parola domenicale

14 gennaio

II domenica del Tempo ordinario

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Siamo all’inizio del tempo ordinario e la liturgia ci pone davanti ad una nuova manifestazione di Gesù… dopo il Natale, dopo l’Epifania, dopo il Battesimo nei quali abbiamo scoperto pian piano il suo essere Figlio di Dio, fatto uomo per noi, ecco che oggi ci viene offerta la manifestazione attraverso il Battista e i suoi discepoli.

Anzitutto Giovanni, fissa lo sguardo su Gesù… è uno sguardo profondo, non è semplicemente il guardare chi passa o chi è appostato a mo’ di zitella o zitello inaciditi che non avendo nulla di meglio da fare si preoccupano di osservare cosa fanno gli altri… Giovanni fissa il suo sguardo profetico su Gesù e coglie nel profondo il suo essere l’Agnello, il suo essere inviato di Dio in un modo inaspettato, non con la forza (ricordiamo che Giovanni attendeva il Messia come colui che avrebbe rimesso a posto le cose… “la scure è già posta alla radice dell’albero”) ma con la mansuetudine di un agnello che viene offerto per la salvezza del popolo.

I suoi discepoli sentendolo seguono Gesù. Vorrei fermarmi con voi a riflettere sul silenzio del Vangelo: mentre ci sembra di vedere quasi una sceneggiatura di un film nella prima parte, tanti sono i dettagli, ad un certo punto sembra che l’evangelista si faccia prendere da una sorta di pudore e tace generando un cambio di scena molto repentino.

Il Vangelo infatti tace completamente quell’esperienza di prossimità e di intimità che i 2 discepoli fanno nei confronti di Gesù. Sappiamo solo che è un’esperienza fondante e fondamentale, per il fatto che ci viene indicato anche l’orario nel quale avviene, le 4 del pomeriggio, però cosa sia accaduto all’interno delle mura di quella casa non ci è dato saperlo… dove li ha condotti Gesù? Per quanto tempo sono rimasti insieme? Di cosa hanno parlato? C’era qualcuno con loro? Sono domande senza risposta… perché sottolineo questo? Per il fatto che mi pare che questo corrisponda un po’ all’esperienza di fede di ogni uomo: un’esperienza di intimità col Signore, un momento nel quale il Signore ti ha parlato, ti ha fatto sentire la sua vicinanza, la sua cura nei tuoi confronti, ti ha magari aperto mente e cuore al suo riconoscimento nei tuoi fratelli e nelle esperienze della vita quotidiana… ma questa esperienza quanto è difficile da raccontare e da far percepire nei suoi tratti profondi da quanti sono intorno a noi… magari anche tua moglie o tuo marito, così vicino a te, ma non riescono a entrare in quella dimensione così profonda e personale, ma cosa rimane? Ciò che anche il Vangelo ci racconta: gli effetti di quell’incontro, il suo nocciolo profondo… “Abbiamo trovato il Messia”, sì quell’incontro non lo posso magari raccontare perché l’altro non riesce a cogliere ciò che dice a me, eppure io da quell’incontro esco cambiato nel profondo, esco riconosciuto e capace di riconoscere in Gesù l’Agnello e il Messia e di questo divento testimone ai miei fratelli.

Possa questo tempo ordinario aiutarci a riconoscere in Gesù il nostro Salvatore che, in dialogo con la nostra vita, ci chiama a seguirlo e a divenire suoi testimoni verso quanti ci passano accanto.

Commento alla Parola domenicale

07 gennaio

Battesimo di Gesù

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Sono passate poche ore e per la liturgia, Gesù è già trentenne, abbiamo lasciato il bambinello adorato dai Magi ieri sera ed oggi lo ritroviamo al Giordano all’inizio della vita pubblica, quando a trent’anni si fa battezzare da Giovanni. È l’inizio del Vangelo secondo Marco che non riporta nulla dell’infanzia di Gesù ma pone come scena iniziale, di apertura, proprio la predicazione del Battista e la scelta di Gesù di farsi battezzare da lui.

Marco è molto sobrio nel suo racconto, con poche pennellate ci pone al cuore dell’evento… anzitutto con le parole di Giovanni ci sottolinea la differenza fra ciò che lui sta facendo e ciò che avverrà in seguito, potremmo dire fra il battesimo ricevuto dai connazionali di Gesù e da Gesù stesso, rispetto a quello che la Chiesa amministrerà dopo la morte e risurrezione del Signore. Giovanni riconosce la sua piccolezza e il suo porsi solo come segno per la sua generazione della necessità di convertirsi e di tornare a Dio con sincerità di cuore; mentre ciò che il Risorto ci consegna è quel battesimo in Spirito Santo. La parola battesimo significa proprio immersione, per questo il gesto compiuto da Giovanni e il sacramento che ciascuno di noi ha ricevuto si chiamano allo stesso modo pur essendo due gesti  diversi.

Gesù viene al Giordano, come i suoi connazionali anche lui va a ricevere questo gesto di conversione, non perché lui ne avesse bisogno, ma per dirci che si pone dalla nostra parte, potremmo usare un’immagine: Gesù non viene per guardarci dall’alto in basso… dall’alto della sua santità al basso del nostro peccato; Gesù si accomuna a noi, scende, si immerge in quelle acque e, potremmo dire, le risana richiamando così un episodio del libro dell’esodo, quando il popolo nel deserto trova dell’acqua ma non è potabile, Mosè dopo aver pregato il Signore vi getta un legno dentro e questo le risana, le rende acque potabili. È quanto fa Gesù: la sua discesa nelle acque insieme ai peccatori le risana, prende su di sé i nostri peccati… li assume qui unendosi ai peccatori in questo gesto, per poi portarli con sé fin sulla croce.

Quanto è forte l’immagine che Marco usa quando Gesù esce dalle acque: vide squarciarsi i cieli… non usa il verbo aprirsi ma squarciarsi… una porta che si apre è destinata prima o poi a richiudersi, un qualcosa che si squarcia indica il generarsi di una lacerazione così grande da non potersi più risanare… quei cieli si squarciano, la relazione fra cielo e terra si è fatta più vicina, il Signore ci ha resi tutti figli nel suo essere il Figlio amato.

Riconosciamo questi cieli squarciati, quanto il Signore si è fatto vicino alla nostra vita, alla nostra condizione, non abbiamo vergogna e nemmeno paura, sentiamoci invece sempre accompagnati e custoditi da Lui.

Commento alla Parola

06 gennaio

Epifania del Signore

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Il brano di vangelo che abbiamo appena ascoltato ci riporta alla manifestazione di Dio in quel bambino per tutti i popoli. In quei personaggi misteriosi sia nella provenienza, abbiamo solo l’indicazione generica dell’oriente, sia nel numero nonostante la tradizione li abbia identificati in 3, sia nei nomi… credo che ciascuno di noi possa provare a scorgere la propria esperienza di fede, il cammino fatto dall’inizio dell’avvento fino ad oggi, passando attraverso il mistero dell’incarnazione che abbiamo contemplato nelle solennità del Natale.

Ciascuno di noi, nella propria esperienza di fede, ha scorto una stella, ha innalzato lo sguardo e si è accorto che qualcosa di straordinario tocca la nostra vita. Ci siamo messi in cammino nel tempo di avvento, abbiamo cercato la dimora del Maestro: questo è il cammino che la nostra diocesi ci ha proposto. Proprio come quei personaggi abbiamo camminato abbiamo osservato, magari siamo partiti da lontano perché la nostra vita di fede si era un po’ allontanata dal Signore, magari avevamo un po’ il cuore tiepido nei suoi confronti, oppure siamo partiti più da vicino, non importa, in quel cammino ci siamo stati tutti, ci siamo lasciati condurre.

Chissà, magari anche noi ad un certo punto, proprio come i Magi ci siamo lasciati prendere dalle cose della terra, da quelle illusioni, loro si  sono fatti illudere che il re dei Giudei fosse da cercare nel palazzo di Erode, noi, magari ci siamo fermati a vivere il Natale come qualcosa di molto terreno, ci siamo fermati prima di Betlemme, ci siamo lasciati affascinare dallo sfarzo e dal trambusto della grande città di Gerusalemme… magari sono cose esteriori, magari anche esperienze piene di fraternità, di stima e di relazioni, che però, se diventano fini a sé stesse non sono più il frutto di quell’incontro che abbiamo fatto, il segno di quel dono di Dio per l’umanità e, quindi, per ciascuno di noi, ma sono qualcosa che ci distoglie, ci ferma solo ad una dimensione da piano terra, senza permetterci di innalzare il nostro spirito affinché incontri il dono annunciato da quella stella.

Siamo giunti, quella stella ci ha fatto fare ancora qualche chilometro ed eccoci a Betlemme, qui ci è dato di contemplare quel bambino, nella sua piccolezza e fragilità, nella sua umiltà e povertà… che contrasto con Gerusalemme e il palazzo di Erode, che differenza fra il regnare che annuncia questo bambino e quello che fa tremare i polsi al re. Sostiamo davanti a questo bambino e consegniamo noi stessi, ci poniamo nelle sue mani, così come siamo, affidiamo a lui la ricchezza della nostra esistenza tutto quell’oro che siamo noi stessi, gli diamo la nostra preghiera, il nostro incenso che si alza al cielo e gli doniamo la nostra caducità il nostro essere finiti, creature bisognose di lui.

Il Signore ci accoglie, lui il pastore del suo popolo ci prende con sé in quei doni che gli abbiamo consegnato. Allora potremo tornare al nostro paese, alla nostra vita quotidiana, arricchiti per esserci consegnati e aver incontrato la gloria del Signore che risplende sulle nostre vite.

Commento alla Parola

25 dicembre

Natale del Signore

Commento alle letture della Messa della Notte con i ragazzi e le loro famiglie

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Sono passati oltre 2000 anni da quell’annuncio di gioia che è appena risuonato questa sera, un bambino è nato per noi, il Salvatore è nato. Dio è sceso dal suo cielo per farsi uno di noi, come noi, umile, povero, fragile, debole… come lo è un bambino. Anche lui ha avuto bisogno di tutto e di tutti, della vicinanza di una madre, di nutrimento, di calore, di vestiti, di un luogo riparato dove stare…

Il presepio che abbiamo costruito nelle nostre case ci aiuta proprio a ricordare questo: Gesù è davvero diventato uno di noi, non ha fatto finta. È nato come noi, è cresciuto come noi, ha gioito come noi, ha sofferto come noi.

Ma ancora oggi, viene in mezzo a noi, aver ascoltato questo brano e aver costruito il presepio potrebbe farci pensare un po’ a quando scorriamo l’album delle fotografie o quando guardiamo un dvd con filmati e immagini di quando eravamo piccoli… per Gesù però non è così perché Lui, ancora oggi, viene in mezzo a noi.

È bella l’immagine utilizzata dalla diocesi, nella quale Maria, Giuseppe e Gesù sono in una casa in mezzo alle altre case, sì perché Gesù viene proprio in mezzo alle nostre case, alle nostre vite.

Questo è quanto ci dice anche la frase che riporta il tema di questa giornata: alla domanda Maestro dove dimori? Che ha guidato tutto l’avvento, la risposta è “In mezzo a noi”. Sì, Gesù viene qui, in mezzo a noi. Anzitutto con la sua parola che abbiamo ascoltato, poi nel pane e vino che diventano il suo corpo e il suo sangue.

Ma non solo, Gesù viene in mezzo a noi perché la culla per la sua nascita, oggi, non è quella di legno bensì è quella di carne, quella fatta dal nostro cuore. Gesù è stato avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia, così oggi, Gesù viene deposto nel cuore di ciascuno di noi. È lì che vuole essere accolto, perché è da lì che vuole di nuovo incontrare tutta l’umanità attraverso i miei gesti, le mie azioni, le mie parole.

A Natale, si dice, che siamo tutti più buoni, forse è vero, ma forse non è merito nostro, non è questione di un’atmosfera speciale, è invece la presenza di Gesù nella nostra vita che in qualche modo ci cambia, ci fa essere più simili a lui.

Possano in questi giorni, le persone che ci incontrano percepire dentro di noi la presenza di questo bambinello, possano i nostri incontri e i nostri auguri essere sempre più veri, cioè sempre più alimentati da lui, sia il suo amore a farci incontrare fra di noi, a far cadere quelle barriere, allora sì ci sarà “sulla terra pace agli uomini che egli ama”. Buon Natale.

 

Commento alle letture della Messa dell’aurora

Come i pastori dopo aver ricevuto l’annuncio degli angeli non sono potuti rimanere fermi, lì dal loro gregge, non hanno potuto fare gli indifferenti a quanto era appena successo e abbiamo ascoltato nella celebrazione di questa notte, così anche per noi, ci siamo mossi dalle nostre case, siamo venuti qui, ci siamo incontrati come comunità di credenti, intorno al bambinello deposto nella mangiatoia.

Quanto stupore devono aver sperimentato i pastori nel riconoscere che tutto quanto era stato annunciato loro non era frutto di un sogno comune o di una suggestione di massa, non avevano avuto delle allucinazioni bensì ciò di cui erano stati resi partecipi corrispondeva alla realtà.

Loro, gli ultimi, coloro dei quali era meglio non fidarsi, sono i primi destinatari dell’annuncio angelico. Loro che vegliavano nella notte scoprono non nella salvezza del proprio gregge dagli attacchi esterni, bensì nella propria salvezza che giunge da un bambino il senso e il compimento di ogni loro notte di veglia, di attesa.

Anche noi abbiamo vegliato ed atteso, pur non avendo passato magari notti insonni, lungo questo tempo di avvento ed ecco che la nostra attesa non è stata vana, il compimento della nostra attesa è dato, non in qualcosa di eclatante per il mondo, eppure in qualcosa di straordinario che si manifesta nell’ordinario. Gesù, il Figlio di Dio, il Messia e il Salvatore nella straordinarietà dell’evento dell’incarnazione, della sua discesa dal cielo per divenire un essere umano come noi, lo fa nell’ordinarietà di un evento comunissimo… un evento che si ripete secondo le statistiche 4 volte in ogni secondo che passa… pensate quante volte si è già ripetuto dall’inizio di questa celebrazione… in quell’ordinario di una famiglia che vede venire alla luce il proprio primo figlio ecco darsi lo straordinario di Dio… normalmente non ci sono cori di angeli che annunciano la nascita di un bimbo e normalmente un bimbo non viene deposto in una mangiatoia. Ma Gesù viene per essere il cibo vero dell’umanità, deposto da subito lì dove viene messo il cibo per gli animali.

Maria custodisce nel silenzio questi avvenimenti e tutto quanto del bambino le viene detto, quanto è bello che non ci vengano riportate parole di Maria, lei accoglie, ha accolto l’annuncio, ha accolto la nascita, ha accolto i pastori, accoglie anche le loro parole e le custodisce, le medita nel suo cuore.

Possa essere così anche il nostro atteggiamento di oggi, alternandosi fra quello di Maria e quello dei pastori: custodiamo nel nostro cuore la straordinarietà dell’azione di Dio per gli uomini ma anche lodiamo e glorifichiamo Dio per non aver disdegnato il farsi uomo ed essersi fatto cibo per la nostra salvezza.

Commento alla Parola domenicale

24 dicembre

IV domenica di Avvento

Leggi le letture di questa domenica

Il Vangelo di oggi ci pone davanti al sì di Maria, certo è un brano che abbiamo ascoltato pochi giorni fa, in occasione della festa dell’Immacolata. Oggi però assume un sapore tutto speciale, infatti ci pone in quel clima di attesa, in quella gravidanza lunga 9 mesi, quella che ci accomuna tutti, giorno più, giorno meno… anche Gesù ha accettato nel suo farsi uomo come noi, di nascere da una donna, da una mamma, da Maria. Ha accettato in tutto la nostra debolezza, il nostro nascere bisognosi di tutto, bisognosi di qualcuno a cui aggrapparci, bisognosi di affetto e di cure.

Da quel sì all’angelo che abbiamo appena ascoltato si è sviluppata tutta l’attesa di Maria, il crescere e svilupparsi del piccolo Gesù dentro di lei è stato segno di quello spazio che nel suo cuore e nella sua vita, nella sua famiglia ha accettato di lasciare per questo figlio tanto speciale. Siamo abituati a vedere rappresentata Maria, normalmente con in braccio il piccolo Gesù, è probabilmente l’immagine più diffusa, quella che ci aiuta a riconoscere tutta l’umanità di Maria e dello stesso Gesù, eppure quanto è bella l’immagine, pur rara di Maria in attesa, incinta, così come è quella rappresentata sul cartellone di questa settimana. Non solo perché questa è un’immagine sentimentalistica e commovente, come ogni gravidanza del resto, ma perché ci pone in una direzione di attesa di quel figlio, di quel Messia. In un certo senso, Maria “col pancione” ci aiuta a vivere quell’attesa che il popolo di Israele aveva del Messia. Un’attesa che per loro non ha ancora compimento perché non hanno riconosciuto in Gesù il Messia atteso, invece per noi ha proprio quel sapore di un’attesa che sta per esplodere in una gioia strabordante, in una gioia che non si può contenere.

Lungo questa settimana, con i ragazzi abbiamo pregato davanti alla mangiatoia vuota, segno di quello spazio che lungo questo tempo di avvento, proprio come Maria, anche noi abbiamo provato a fare a Gesù, lì nelle nostre case, magari ritagliando un piccolo spazio per il presepio, nelle nostre vite, ritagliando qualche minuto per una preghiera o un po’ di silenzio…

Così come è quel sì di Maria che ha permesso a Gesù di farsi uomo 2000 anni fa, è il nostro sì che gli permette ancora oggi di venire nelle nostre vite, nelle nostre famiglie, nei nostri cuori.

Mancano poche ore al Natale, chiediamo a Maria che ci conduca per mano a fare questo incontro con suo figlio, chiediamole che la grazia del Natale ci renda più uomini, capaci di amore vero verso i nostri fratelli.

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