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Commento alla Parola domenicale

22 aprile

IV domenica del tempo pasquale

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Io sono il buon pastore.

Quest’oggi ci lasciamo guidare e condurre proprio come delle pecore dalla voce del pastore che si presenta a noi, come colui che si prende cura di noi. Non perché in qualche modo incaricato, non perché ne tragga un vantaggio personale come un mercenario che conduce le pecore perché ha un proprio guadagno personale.

Quante volte cerchiamo un ritorno personale in quanto facciamo, quante volte piccoli gesti li facciamo sembrare la salvezza del mondo intero, quante volte la mettiamo giù dura col valore di quanto abbiamo fatto o di quanto ci è stato chiesto, spesso abbiamo bisogno di essere visti perché questo dà valore a ciò che facciamo… quanta fatica a vivere la dimensione della gratuità che invece contraddistingue il pastore vero.

È l’affetto per quelle pecore indifese e incapaci di badare e bastare a sé stesse che lo muove. Lui le conosce, non perché le conta e sa quante sono ma le conosce una a una, ci conosce, conosce ciascuno di noi personalmente nei nostri bisogni, nelle nostre capacità e possibilità ma anche in quelle fatiche che ci troviamo quotidianamente ad affrontare. Quanta pace ci offre riconoscere di essere condotti, riuscire a consegnarci nelle sue mani, ci rappacifica il cuore, non ci deresponsabilizza ma ci aiuta a consegnare nelle sue mani quanto siamo stati capaci o no di fare.

Lui, buon pastore, si è schierato e continuamente continua a farlo perché il lupo non abbia a sbranare le pecore. L’ha fatto quando ha affrontato il lupo più grave, la morte e l’ha vinta a  nostro favore. È morto sulla croce per noi e da lì ha sconfitto la morte perché il Signore della vita è Risorto, come abbiamo acclamato il giorno di Pasqua.

Ma ancora oggi si schiera a nostro favore per affrontare tutti quei lupi che attanagliano la nostra esistenza. Ci fa sentire non da soli ma accompagnati, ci offre il suo amore, la sua vicinanza, il suo sostegno.

Certo oggi la sua presenza ci viene offerta da persone che mettono tutta la loro vita nelle sue mani e si mettono a servizio delle comunità alle quali sono affidati perché spezzino ancora il pane e offrano il perdono del Signore, lo rendano presente nella manifestazione concreta del suo amore. Preghiamo per noi sacerdoti perché possiamo essere sempre meno mercenari e più pastori, ma preghiamo anche perché il Signore non faccia mai mancare pastori santi alle sue comunità.

Commento alla Parola domenicale

15 aprile

III domenica del tempo pasquale

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Gesù in persona… anche questa domenica la liturgia ci presenta un’apparizione del Risorto, abbiamo ascoltato la versione lucana di quella sera di Pasqua, la stessa sera che abbiamo ascoltato settimana scorsa nel Vangelo secondo Giovanni. Gesù appare e si mostra ai suoi discepoli riuniti nel cenacolo con alcuni segni speciali che aiutano a riconoscerlo. Per prima cosa offre la pace, è il suo saluto: la sua presenza nel mondo è una presenza di pace, l’incontro autentico con lui ci offre una pace interiore che siamo chiamati a far trasparire anche all’esterno perché pian piano contagi le persone che ci stanno a fianco e questa pace possa andare a raggiungere tutti gli angoli della terra anche quelli che sono oggi più in crisi dal punto di vista proprio dei conflitti. Ciascuno di noi può dire: “La pace comincia da me, da come la costruisco intorno a me”. Pace non è quieto vivere, pace non è sorrisetti in faccia e pugnalate dietro le spalle, pace è anzitutto verità con sé stessi e con gli altri. Dopo aver offerto la pace, Gesù mostra le proprie mani e piedi, mostra ai discepoli i segni della passione, quei segni che erano così necessari settimana scorsa a Tommaso per poter credere… sì non possiamo mai dimenticare che il Crocifisso è Risorto… che la passione e morte per la nostra salvezza non si dimentica, non è stata una brutta esperienza da cancellare, la risurrezione non è stata un tornare al giovedì santo come se nulla fosse successo, la passione ha segnato Dio stesso per l’eternità, sì l’ha segnato della sua passione per l’umanità, del suo amore per ciascuno di noi, del suo desiderio della nostra salvezza ad ogni costo. E poi chiede ai discepoli qualcosa da mangiare, siede a tavola con loro, così come fu l’ultimo gesto vissuto insieme, l’ultima cena, li raduna di nuovo intorno a quella tavola, mangia con loro e spiega loro le Scritture, quanto nella Bibbia parlava già di lui, molto prima della sua nascita e della sua morte.

È quello che siamo qui a fare ancora oggi, in sua presenza, qui, intorno a questa tavola, a questa mensa, che è proprio il Risorto, lui ci offre il suo corpo e il suo sangue, dopo aver accolto le Scritture, dopo aver ascoltato la sua Parola. Ogni domenica siamo invitati alla cena del Signore – come diremo appena prima della comunione – i discepoli erano pieni di gioia e di stupore dall’incontro con Gesù, chiediamogli che anche il nostro incontro con lui ci apra ogni volta a queste dimensioni della fede, non ci capiti di vivere la fede come qualcosa di già sentito, qualcosa di ripetitivo che non ha più nulla da dirci o qualcosa di noioso che non ci fa più gioire per l’incontro più straordinario della nostra esistenza. Uscendo di chiesa anche noi siamo chiamati, come i discepoli a diventare testimoni di questo incontro e di questa gioia con quanti incontriamo nella nostra vita.

Commento alla Parola domenicale

08 aprile

Domenica della Divina Misericordia

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Al termine dell’ottava di Pasqua, la Chiesa ci offre, nella liturgia della parola, il duplice episodio dell’apparizione di Gesù nel cenacolo, davanti ai suoi discepoli.

Se domenica scorsa abbiamo celebrato un’assenza, una tomba rimasta vuota, quest’oggi eccoci di fronte alla presenza più tangibile, al Risorto che si manifesta con il suo corpo piagato.

Abbiamo ascoltato una duplice apparizione a distanza di otto giorni, sempre in quel primo giorno della settimana, il giorno della comunità, il giorno che diventerà pasqua settimanale perché proprio ogni otto giorni la Chiesa renderà presente e vivo il mistero della risurrezione che ci offre la salvezza. Quanta grazia il fatto che Gesù sia apparso alla comunità, non ad un singolo, bensì ad una comunità riunita insieme, proprio lì dove si era riunita l’ultima volta proprio per mangiare quella cena pasquale.

Il Signore ci rimanda quest’oggi proprio al bisogno di vivere la fede all’interno di un’esperienza comunitaria. I discepoli riuniti insieme fanno esperienza di lui, lo vedono, ricevono da lui il dono della pace che porta con sé la dimensione della gioia di quell’incontro. Tommaso è assente, non è lì con il resto della comunità, addirittura, al suo rientro sembra quasi distaccato, non credere a quanto gli viene riportato… troppo bello per essere vero… ma Gesù non appare a Tommaso da solo, per convincerlo di quanto aveva ascoltato dagli altri discepoli, invece attende ben otto giorni e il primo giorno della settimana successiva eccolo tornare in mezzo alla comunità nella quale questa volta è presente anche Tommaso.

Gesù accoglie la provocazione di incredulità di Tommaso e lo invita a compiere proprio quei gesti che aveva dichiarato necessari per la sua fede. Tommaso quel dito e quella mano non li muoverà, contrariamente a quanto tanti artisti erroneamente hanno rappresentato. Tommaso si sente accolto nel suo desiderio più profondo e questo gli basta, portandolo a fare la professione di fede più bella e più alta: mio Signore e mio Dio.

Ma ecco che Gesù, di nuovo lo rimanda alla comunità, lo rimanda al credere all’annuncio della risurrezione che la comunità gli ha testimoniato con la sua parola. È quanto chiede anche a ciascuno di noi di fare: di non avere più bisogno di toccare, di vedere, di un approccio fisico e sensoriale al Signore, ma di accogliere il messaggio di salvezza che da 2000 anni percorre le strade del mondo, quel messaggio che annuncia che il Signore è veramente risorto e noi siamo chiamati a diventarne testimoni.

Commento alla Parola domenicale

01 aprile

Pasqua di Risurrezione

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È un nuovo giorno, di una nuova settimana ci sottolinea l’evangelista Giovanni… è ancora buio ed è il primo giorno della settimana, un giorno innominato perché da quello stesso giorno inizia qualcosa di nuovo, un’epoca nuova, una nuova storia. Maria di Magdala era andata al sepolcro pensando ad una continuità con quanto era avvenuto in quel tardo pomeriggio del venerdì, quando ha assistito a quell’opera di misericordia di Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo che hanno preso il corpo del maestro e l’hanno posto in quel sepolcro… ora che la festa è passata si può tornare a quel sepolcro, si può stare accanto a Gesù, anche se morto… solo chi ha sperimentato la perdita di una persona cara, può comprendere fino in fondo questa ansia di Maria di tornare… è ancora buio, non solo un buio di un’alba atmosferica che non è ancora cominciata, ma il buio di chi nel proprio cuore è preso dalle tenebre della notte, da chi vede la parola fine a sigillo di una vita tanto straordinaria.
Ma la tomba è aperta, la pietra è stata tolta… è un brano di Vangelo particolare quello che abbiamo ascoltato perché celebra potremmo dire un’assenza, Gesù non appare e nemmeno nessun angelo giunge a rassicurare, a portare il suo annuncio… sembra che Maria e poi i discepoli che lei corre a chiamare siano lasciati a loro stessi di fronte a questa novità di Dio.
Ma non è così: questo giorno nuovo, questa alba nuova, questa tomba aperta e vuota aprono anche il nostro cuore, come quello dei discepoli a cogliere che proprio lì si è manifestata l’azione del Padre. Proprio nella risurrezione del Figlio. Il sepolcro vuoto, non perché un corpo è stato trafugato, ma perché il Maestro è tornato in vita, quei teli nei quali era avvolto il corpo esanime di Gesù, ora sono lì abbandonati perché il Signore non avrà più bisogno di quei riti funebri: la vita nuova nella quale ora è inserito infatti è la vita eterna con il Padre.
Quanta concitazione si respira in tutto il brano che abbiamo ascoltato: si passa da quel passo lento con cui Maria raggiunge il sepolcro nel buio del primo mattino e del suo cuore, alla corsa verso i discepoli e la corsa dei discepoli stessi fino al sepolcro. È la corsa del Vangelo che da 2000 anni non smette di percorrere le strade del mondo per annunciare un unico messaggio di salvezza: Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa. Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto.
Questo è il fondamento della nostra fede. La sua risurrezione apra anche ciascuno di noi ad una vita nuova insieme con lui.

Commento alla Parola domenicale

25 marzo

Domenica delle Palme

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Seguiamo il Maestro…a Gerusalemme.

È proprio qui che ci ha condotto il cammino di quaresima di quest’anno. In questa domenica abbiamo ascoltato e contemplato gli eventi che riguardano la passione di Gesù. Durante la benedizione dei rami d’ulivo abbiamo ascoltato il suo ingresso in Gerusalemme e nella proclamazione della Passione abbiamo ascoltato le ultime ore della sua vita fino a quel sepolcro.

Abbiamo visto il suo ingresso trionfante come re della pace, sul dorso dell’asinello, come i re in periodi di pace erano soliti fare, accolto da tutto il popolo festante e l’abbiamo contemplato sul trono della croce, il momento nel quale ci ha attirati tutti a sé.

Abbiamo sentito più volte dalle sue parole annunciare quanto sarebbe avvenuto poco dopo, non è il segno di chi vuole mostrare le sue capacità, bensì di chi vuole aiutare i propri discepoli e, con essi, anche noi, a riconoscere che quella passione non è qualcosa di subìto dalla quale non poteva sfuggire, non si tratta di una trappola nella quale in maniera ignara è incappato ad un certo punto della sua missione. Invece il suo annuncio ci mostra la sua consapevolezza e il suo aver scelto la via della croce e del dono totale di sé per la nostra salvezza. Contempliamo questi misteri in questa settimana, viviamo nella riconoscenza e chiediamo la grazia di sentire in questo dono il segno della vicinanza e della cura del Padre per ciascuno di noi e per ogni uomo di ogni tempo e luogo.

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18 marzo

V domenica di Quaresima

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Il cammino di quaresima che la nostra diocesi ci sta proponendo ci fa incontrare Gesù tra la gente. Proprio come quei greci, gente qualunque, gente non del popolo di Israele, stranieri eppure presenti in quei giorni a Gerusalemme e in qualche modo incuriositi dalla figura e dalle parole di questo Maestro così acclamato. Nel Vangelo di Giovanni infatti questo episodio è immediatamente successivo all’ingresso di Gesù in Gerusalemme che festeggeremo domenica prossima. Queste persone hanno visto tanta festa e gioia intorno a questo Rabbì giunto a Gerusalemme per la festa e, incontrato Filippo, gli chiedono la possibilità di vedere Gesù. Non sappiamo bene cosa li abbia smossi, se pura curiosità, se l’idea della fama (uno dei personaggi famosi e in voga del momento, un vip diremmo noi oggi), magari avevano anche loro qualche malato fra i loro parenti per il quale chiedere intercessione e aiuto, magari avevano qualche dubbio esistenziale connesso alla filosofia o alla religiosità greca… oppure avevano voglia di avvicinare la religione ebraica… non ci è dato sapere la loro intenzione, così come non ci è dato sapere, in mezzo alla gente con la quale viviamo, quali sono le motivazioni profonde che avvicinano ciascuno in modo diverso al Signore. Lui non respinge nessuno, li avvicina e coglie in questo il momento opportuno per consegnare loro un insegnamento profondo rispetto a sé stesso e alla vita di ogni discepolo.

E come lo fa? Usando due immagini spazialmente opposte: cadere in terra ed essere innalzato da terra. Ma per entrambe l’immagine è chiara: il Cristo non terrà nulla per sé, tutta la sua esistenza è stata un dono d’amore per l’umanità e anche la sua conclusione sarà esattamente nella stessa direzione. Non si tratterà di una morte fine a sé stessa, non una morte che scrive la parola fine alla sua storia, ma una morte che porterà frutti di salvezza, proprio come quel chicco che solo morendo fa nascere la spiga e nuovi chicchi, come l’essere innalzato che ci attira verso la vita eterna, verso quell’amore autentico e puro.

Forse non importa tanto quali sono le motivazioni che ci avvicinano a Gesù, ma è quanto il nostro cuore e il nostro sguardo sa cambiare, sa lasciarsi plasmare da questo incontro e da questa presenza che non è accomodante, ma ci chiede di smuoverci, di cambiare. Sì, Gesù nella nostra vita è una presenza scomoda perché non si è tirato indietro non ha detto fino qui arrivo e poi basta, ma ha dato tutto sé stesso perché anche noi, attirati da lui verso quella croce, impariamo a nostra volta a donarci reciprocamente con tutto noi stessi.

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11 marzo

IV domenica di Quaresima – Giornata parrocchiale del Seminario Diocesano

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Solo “due” parole riguardo al Vangelo, per poi lasciare spazio alla testimonianza di Davide, rispetto al Seminario.

Per strada è il luogo che la nostra diocesi ci pone davanti agli occhi per la meditazione di questa settimana, sì, è lì che Gesù si è incontrato con Nicodemo di notte, ma con tantissime altre persone durante il suo cammino… potremmo dire che gran parte dei Vangeli sono raccontati lungo le strade di quelle regioni.

Il Signore ci vuole incontrare lungo le nostre strade, lì dove siamo ogni giorno, lì dove i nostri cammini più quotidiani magari a volte ci distraggono o ci riempiono di preoccupazioni… come il cuore di Nicodemo che è così pieno di domande da non riuscire a dormire di notte e andare a cercare il Maestro per porre nelle sue mani i suoi quesiti. Anche noi riconosciamo il Signore sulle strade della nostra vita, in quegli incontri che faremo questa settimana, riconosciamolo vicino a noi e poniamo nelle sue mani quanto risiede nel nostro cuore.

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04 marzo

III domenica di Quaresima

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Siamo nel grande Tempio di Gerusalemme, il luogo più sacro per gli ebrei, il luogo della dimora di Dio in mezzo agli uomini. La casa del Padre, come la definisce Gesù. Luogo per incontrare Dio, luogo di pellegrinaggio, verso il quale ci si dirigeva facendo anche centinaia di chilometri… non certamente con le comodità di oggi. Quanti pellegrini giungevano, soprattutto in occasione delle feste principali, ma non solo. Il modo caratteristico della preghiera nel Tempio era costituito dall’offerta e dal sacrificio. Per questa ragione servivano animali da poter uccidere, ma non tutti erano adatti dal punto di vista della legge mosaica. Inoltre non era il caso di fare tanti chilometri col proprio animale appresso. Quindi nei cortili più esterni del tempio era consentito, proprio per agevolare la dimensione rituale di incontro con Dio, fare degli scambi commerciali così da poter offrire un sacrificio a Dio gradito.

Peccato che le cose probabilmente, con il tempo siano degenerate, la mera replicazione del gesto ha fatto dimenticare la sostanza, ha fatto sì che di quello scambio rimanesse solamente la dimensione commerciale, che qualcuno guadagnasse sulle spalle dei pellegrini, che l’incontro con Dio fosse un mercanteggiare, dimenticando invece la dimensione della consegna di sé, attraverso il sacrificio di quell’animale o attraverso l’offerta economica o vegetale che fosse.

Gesù si arrabbia, è preso dallo zelo per la casa di suo Padre e caccia tutti fuori. Così come nelle dispute con scribi e farisei, la sua parola fa tornare sempre al significato originario e pieno della consegna di Dio all’umanità; così in questo caso, è proprio cacciando fuori che Gesù invita ad entrare dentro veramente. È facendo uscire le dinamiche commerciali, sia tra uomini che nei confronti di Dio, che puoi entrare veramente in te stesso e in relazione autentica col Padre.

Non è di certo negli schiamazzi di una contrattazione mercantile (come è di tradizione orientale) che puoi riuscire ad ascoltare la Parola che Dio ti rivolge in prima persona. L’invito di oggi della liturgia è di fare un po’ di ordine spirituale nella nostra vita, questo è il senso profondo anche di tutta la quaresima, scorgere quelle cose, quegli atteggiamenti che sono come degli schiamazzi nella nostra vita e ci distraggono da un incontro autentico con il Signore. Cerchiamo di dare un nome anche a tutti quegli atteggiamenti nei quali ci troviamo un po’ a mercanteggiare con il Signore… vengo a Messa tutte le domeniche, però tu… rispetto il venerdì, ma quella situazione vedi di migliorarla… ti accendo un lumino o faccio un momento di preghiera, però…

Il Signore ci liberi dal fare della nostra vita di fede un luogo di mercato, ma ci aiuti a ritrovare lì il luogo di incontro autentico con il Padre.

Commento alla Parola domenicale

25 febbraio

II domenica di Quaresima

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Come il discepolo che accoglie l’invito a seguire il Maestro anche noi, quest’oggi ci mettiamo in cammino per salire su quell’alto monte, sul monte Tabor, come la tradizione lo identifica. Ci innalziamo insieme al Maestro, lì dove è maggiore la vicinanza con Dio, non perché ci si innalza rispetto al livello del mare, ma perché nella contemplazione anche del creato la nostra anima è in grado di andare in maggior profondità e riconoscere lì la presenza di Dio, passando dalla creatura al Creatore, un po’ come quando vedi un bimbo e cerchi subito i tratti di somiglianza col papà e la mamma…

Non solo, su questo monte Gesù ci offre qualcosa di più di una semplice esperienza di preghiera, mostra a quei tre discepoli che ha preso con sé la sua gloria, il suo volto trasfigurato, la sua stessa persona… Marco evidenzia con un tratto molto pragmatico, che quelle vesti bianchissime non potevano essere opera di nessun lavandaio sulla terra… vesti bianche che più bianche non si può…

Eppure questo monte è sì quello della gloria, ma potremmo dire non è quello della tranquillità… sì perché è una montagna che immediatamente ne richiama un’altra, ovviamente non per quei tre che non lo sapevano ancora e non sono in grado di comprendere ancora cosa voglia dire risorgere dai morti, ma a noi, discepoli del 2° millennio, il monte Tabor ci riporta immediatamente al monte Calvario, quel monte che solo saprà squarciare per il mondo intero la gloria del Figlio di Dio. Per ora, su questo monte, la gloria è mostrata solamente a 3 discepoli, affinché nel momento del dolore e dell’apparente sconfitta, possano avere il cuore pieno di quella luce che qui hanno potuto contemplare.

Eppure proprio nel loro essere le primizie del contemplare la gloria di Gesù, ecco che non possono rimanere a crogiolarsi su quel monte, non ci si può accampare, mettersi a bivaccare per rimanere lì in questo rapimento estatico, separati dal resto del mondo, non si può rimanere lì senza aver affrontato lo scoglio della croce.

Per questo, dopo la parola del Padre che invita all’ascolto del Figlio, come sua parola vivente, l’esperienza straordinaria termina e giunge l’ora di tornare dagli altri 9 e dalla folla, giunge il momento di proseguire il cammino, con una luce nuova nel cuore.

Il Signore ci dia la grazia in questa quaresima di fare esperienza della sua gloria nella nostra vita, ci aiuti ad entrare in sintonia con lui, a riconoscere in lui la Parola vivente del Padre da ascoltare e ci aiuti a seguirlo su quel monte che è il Calvario, a non rifiutare o scansare la croce ma accoglierla e farla nostra insieme con lui.

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